A Sua immagine

Dice che l’uomo è stato creato a immagine di Dio. Poi, quando hai 17 anni, qualcuno ti dice che è l’uomo che ha creato Dio a sua immagine.

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Che però di solito si riduce a della sociologia pigra: e cioè che Dio risponde a una esigenza – di controllo sociale, e di controllo in generale sulle tre-quattro domande per le quali non esiste risposta fisica, che però finiscono anche per essere quelle più importanti – la natura fisica della rifrazione luminosa lascia il tempo che trova se non trovo un senso alla mia vita.

Più interessanti erano i vecchi dei, compreso Jahvè 1.0, quelli su cui proiettavamo noi stessi: che avevano difetti, si dividevano i compiti, avevano una origin story. Loro sì che erano a nostra immagine. Quando Dio s’incazzava, faceva cose bizzarre, era invadente.

Poi è successo qualcosa, e gli dei sono diventati pacifisti e riflessivi. Quelli vecchi sono andati in pensione, o hanno cambiato vita (forse hanno scoperto la meditazione, si sono trasferiti in una comune californiana.); quelli nuovi, nascevano già rilassati. Westworld dice che Dio era il discorso interiore dell’uomo, primo e unico animale ad ascoltarlo, che avrebbe creato una dissonanza cognitiva tanto forte negli antichi – ancora non completamente attrezzati riconoscere il cogito e il sum – da utilizzare la metafisica come unica possibile risposta.

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Quindi, se vogliamo spingerci oltre l’edge di questo discorso già molto edgy: se come dicono alcuni il mondo è vecchio di 6.000 anni, magari quella voce l’abbiamo sentita (o attribuita) per la prima volta 6.000 anni fa, e prima si viveva senza Dio, e quindi senza risposte – e soprattutto senza domande.

Forse era quella l’età d’oro di cui tante culture favoleggiano: quella in cui vagavamo mangiando bacche e radici senza la condanna dell’insicurezza e dell’entropia – in pratica quando eravamo Non Playable Characters.

In Entropy, ho immaginato un Dio abramitico ipocritica e nichilista, che ha volontariamente creato una esistenza priva di senso, fatta di semplici attività ripetitive che danno fugace gioia ma che non restano – il quoziente di gioia decade, la foresta cresce rapida e copre completamente la nostra esistenza. Perchè Dio è a nostra immagine, e quindi cerca le scorciatoie, fa lavori approssimativi, lascia le cose a metà e finisce per annoiarsi sul lavoro; ma anche perchè il senso – la risposta esistenziale, la missione -viene presto a noia. In un universo open world come quello in cui viviamo, lo scopo del gioco non c’è.

O magari, invece, è la ricerca dello scopo, lo scopo stesso. Un Dio a nostra immagine, sarebbe davvero capace di tanta crudeltà?

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